Martina per OSMOSIS

Qualche uccello, che di rado vedo entrare in una boscaglia di pini, fa credere che sia disseccato come quelli imbalsamati; e la sua ombra affonda passando nella polvere della strada. Federigo Tozzi

Quello di Marco Acquafredda è un universo denso, polifonico, popolato da un’umanità primordiale, puntellato di volatili e cani come di piante nude, di un insettario variegato, pungente.Un bestiario vero e proprio si snoda all’interno di un ambiente privato, domestico, dove l’uomo si confonde con l’animale e questo si umanizza, abolendo qualsiasi tipo di gerarchia, di differenza, in un processo spontaneo, osmotico appunto. Osmosis si muove costantemente e impercettibilmente in un singolare rapporto interno-esterno, in una continuità che interseca la natura animale e quella vegetale, come se l’una trasudasse l’altra e viceversa.Gli insetti, vere e proprie reliquie, sono racchiusi in una teca di legno, crocifissi da uno spillo che li ferma sulla carta e che ne disegna la propria ombra, quasi a volerne sottolineare sia il corpo che l’anima. I volatili diventano bronzo e camminano ormai sulla terra pur mantenendo le proprie ali. Le testine umane oscillano pericolosamente nel vuoto in un tentativo di prima partenza e incerto arrivo. Due cani litigano tra di loro per l’appropriazione esclusiva di un pezzo di legno, in un gioco pericoloso di ruolo, entrambi vincitori, o vinti.Le mani di Acquafredda accompagnano allora il processo che plasma la materia, a volte dando a essa una forma, altre prendendola.Ecco allora che l’indice si fa rettile e striscia su una superficie di grafite lasciando impercettibilmente il suo segno, impressionando la materia come in una radiografia e formando una microscopica e casalinga foresta di bambù. Ecco ancora la grafite che invece scrive da sola, scivolando, carte impregnate di acqua, regalando essa stessa una traccia di sé mentre ossa seccate dal tempo, svuotate del proprio midollo si confondono con legni scheletrici e arsi dal sole.Tutta questa umanità pulsante si concentra infine e confluisce nel cielo nero, profondo, una gola che ingoia la materia come in un buco, un vortice in cui tutto finisce e insieme principia.

Martina Marolda