LE REGOLE DEL CAOS

Le regole del caos o dell’intimità della materia

di Carles Marco

Critico d'arte e curatore

   Il lavoro creativo di Marco Acquafredda parla dell’intimità della materia, che diviene base della sua pittura: una materia che si liquefà dando origine a una moltitudine di forme. Il suo operare si posiziona in un episodio intermedio della grande creazione, cioè nel transito dalla materia primordiale a quella più evoluta, che sarà supporto finale della vita e del mondo organico nel suo insieme.

     La materia iniziale è composta da una fonte infinita di forme, da una libertà quasi illimitata, e sottolineo il quasi, perché il titolo, Le regole del caos, sta a significare che, anche nella più splendida confusione, esistono delle regole a cui non possiamo sottrarci. Queste si manifestano nella evidente simmetria dei cerchi, negli assi di riflessione alla maniera dei mandala, i contenitori nelle filosofie orientali intesi al modo di fonti della geometria, dove il tutto trova posto. Il cerchio come luogo nel quale si racchiude l’intero mondo fisico e tutta l’esperienza sensibile.

     Nella sua insistenza sulla circolarità, l’artista sta provando a rendere immaginabili i confini del reale, pertanto suggerisce l’esistenza di qualcosa aldilà, di indefinibile, di ineffabile. Questo è il territorio d’indagine di Marco Acquafredda.

     Il primo esempio di questa teoria sono i rettangoli con grafite, intensi e profondi: una specie di riflesso del mondo ai suoi albori, un esempio di liquidità primitiva, un compromesso tra un fenomeno naturale, la pioggia, e la mano dell’artista. Acquafredda esegue la preparazione dell’elaborazione per dare vita all’azzardo in forma di gocce venute dal cielo e, in seguito, la sua saggia mano aggiunge il tocco necessario per sottolineare le variazioni nate dal caso. Il tempo è una variabile indispensabile in questa serie di lavori.

    L’autore non cerca la bellezza nei suoi lavori, nel processo di creazione si ferma prima della cristallizzazione della materia in forme armoniche e riconoscibili. Sceglie i momenti in cui la massa è ancora fluttuante, fluida, morbida e la forma ancora non è decisa.

     Conserva qualcosa di germinale nelle sue sfere, interpretabili a volte come ovuli, a volte come ammassi planetari in formazione, o ancora come incroci di linee senza una direzione precisa, quasi momento di passaggio verso una situazione di equilibrio tutta da verificare, tutta da immaginare.

     L’inquietudine porta l’artista ad arrestarsi prima della fase di finitura, a non voler concludere niente e lasciare spazio all’azzardo, il quale si manifesta con raschiati (Miró sostiene che i raschiati danno profondità) e cancellazioni, in nessun caso interpretabili come pentimenti, ma come parte di quel processo in cui la materia si solidifica e diventa forma. I religiosi tibetani sostengono che la materia è una condensazione della luce; dunque, i lavori di Acquafredda rappresentano un tentativo di stabilizzazione della luce della creazione.

     I suoi titoli sono ingannevolmente statici: Stagno, Sottobosco, Pozza nera, Luce, Buio, Foglia morta, Orizzonte, Il fine ultimo, ma nell’insieme, se aggiungiamo la geometria, sono gli ingredienti del mondo. La missione dell'artista sarà definire le sostanze che compongono il tessuto della realtà e il suo moto, per renderli visibili nel modo più onesto possibile.

     Acquafredda nel suo elevato compito utilizza tavole come supporto, alla maniera dei pittori antichi e, dato il carattere aperto della sua pittura, ognuno può trovare dei soggetti riconoscibili in funzione delle proprie aspettative, quali teschi, vermi, foglie, pianeti con la propria atmosfera. Viene presentata, in questa mostra, tutta una batteria di oggetti pulsanti su cui fissare lo sguardo attento per non perdere il silenzioso movimento ed il trascorrere del tempo, cavalcato dalle sue creature.

     E poi ci sono gli uccelli in bronzo alle finestre e, all’interno, in ceramica sulle frasche di bambù, testimoni di tutto quanto osservano con pazienza e una certa indifferenza i movimenti sottostanti. Sono un riflesso di quelli che, se si ascolta bene, possiamo sentire ad ogni momento accompagnarci con il loro canto fuori della antica Abbazia; gli stessi suoni che sicuramente potevano ascoltare i monaci cistercensi che l’hanno abitata per secoli, in una armonia non finita fra lo spirito, l’uomo e la natura.